Il Castello e la Fanciulla

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“Ma….non lo senti anche tu?” – le domando, piegando la testa da un lato ed aiutando con la mano l’orecchio rivolto verso l’alto ad ascoltare l’aere.

“Mah….a dir la verità io non sento niente” – risponde mia moglie, increspando la fronte ed aguzzando lo sguardo verso l’aere, come se per udire servissero gli occhi.

“Ne sei proprio sicura?” – ribatto – “Possibile che tu non lo senta? Quasi mi assorda!” – continuo mentre indosso gli stivali da moto – “E’ il richiamo!”.

“Il richiamo?? Ma se si sente solo il clacson impazzito di un’auto!!”

Mia moglie ha  ovviamente mangiato la foglia ma, ben conscia di non riuscire a fermarmi ed al contempo divertita dall’ennesima e fantasiosa scusa, regge il gioco e continua:

“Ma….lo sai che forse hai ragione? Ora che porgo maggiore attenzione, sento anch’io qualcosa. Ehi, si si, è proprio un richiamo! Sembra l’appello disperato di una giovane donna. Sarà per caso la fanciulla prigioniera nel castello? Credo proprio che tu debba andare. Parti, ordunque, ella ha bisogno del Cavaliere sul suo cavallo d’acciaio, salvala!”

Ho già rimarcato altre volte quanto le donne siano fantastiche; quanto il mondo dei bambini non sia un mistero per loro e come la loro mente sia così aperta da non conoscere confini, cosi tanto da non porne neanche agli adulti che si comportano da bambini.

Ottenuto il salvacondotto della Regina, indossata l’armatura dei cavalieri del nostro ordine (si…insomma, messo su l’abbigliamento da motociclista), parto alla volta del castello che, inespugnabile, si erge in cima alla collina più alta a dominare la valle sottostante. Ovviamente non c’è alcuna fanciulla da salvare ma il castello c’è, eccome, ed io mi accingo a “conquistarlo”.

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E’ un luminoso e limpido cielo di febbraio quello che avvolge la mia meta.

Il cielo invernale, anche se terso e nitido, a differenza di quello estivo, riesce ad avvolgere con un’atmosfera particolare, quasi con un alone di mistero, il paesaggio sottostante, facendolo apparire un traguardo difficile da conquistare più di quanto in realtà esso sia.

E’ quello il motore che accende la fantasia e trasforma una normale passeggiata in moto in una avventura da poter narrare come se fosse una favola.

L’aria è frizzante, fresca (per non dire fredda); attraversarla però è un piacere. Essa, anche se filtrata da un proteggi collo felpato, incastrato per giunta tra il mento e la mentoniera del casco, raggiunge comunque le narici carica dei suoi 5° centigradi ed allarga i polmoni riempiendoli di ossigeno gratuitamente refrigerato.

Il primo tratto del percorso scivola via su un altopiano con  tanto spazio per la vista persa in orizzonti che abbracciano distese di terre destinate alla semina del grano.

In alcuni fondi esso è già nato, in altri non ancora e questo alternarsi di spazi smeraldini e tèrrei compone un suggestivo acquerello dalle tinte sfumate ove il colore del grano, appena nato, deriva verso il colore della terra, non ancora ricoperta, e viceversa.

Meraviglioso!

E pensate, qui, ora ci sono io, sulla mia cavalcatura.

Immaginate una immensa tavola, i cui confini sono dettati solo dalla limitatezza dell’occhio umano,  dipinta da una mano “superiore”, laddove il pittore ha il capriccio di mettere un minuscolo e quasi invisibile puntino itinerante che, nonostante l’incedere non propriamente lento, sembra immobile nella vastità del creato che attraversa.

Tutto viene reso ancora più affascinante dall’attraversamento di un piccolo borgo fantasma, un insieme di case rurali ora disabitate che, prima di vivere l’esodo dalle campagne verso le città, è facile immaginare operoso e brulicante di lavoratori campestri e di bambini che giocano alla campana (chi è troppo giovane non capirà, chiedo scusa; cercate su internet il gioco della campana – https://mamma.pourfemme.it/articolo/il-gioco-della-campana-le-regole-e-la-storia/31671/)  disegnata con un pezzo di carbone sul lastricato dell’unica piazzetta del villaggio.

Nonostante la Stella Polare (Google Maps) mi informi che devo coprire ancora una quindicina di chilometri il Maniero già si intravede, solitario in cima al suo poggio, avvolto solo dal cielo che da qui lo fa apparire quasi  mistico.

L’orizzonte, che prima era limitato solo dalla brevità del campo visivo, adesso invece trova il suo confine nell’abbraccio di dolci colline che, a tratti, nascondono l’asfalto del mio percorso, indirizzato verso delicati e verdi declivi alternati a erte mai troppo ripide. L’acquerello continua anche qui, anzi, si esalta favorito dal chiaroscuro donato dal sole che proietta l’ombra dei rilievi.

Il puntino itinerante, rapito dalla bellezza dell’opera, continua ad avanzare e, con una equazione spazio fratto tempo (si, dai, con una velocità) congrua al contesto giunge ai piedi del poggio più alto, pronto ad affrontare l’ultima salita per conquistare la fiera Fortezza.

Si sa la Fortezza deve difendersi strenuamente ed allora ecco che mette, tra essa ed il conquistatore, un passaggio sterrato impreziosito da alcune pozzanghere che, si sa, fanno la gioia di ogni bambino, pardon di ogni motociclista off road.

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Sempre la Stella Polare di prima mi indica che questa meraviglia è lunga circa 4 chilometri, mentre le proporzioni visive mi avvisano che la salita, che ora appare dolce ed invitante, probabilmente aumenterà la pendenza abbastanza sensibilmente.

E’ il momento di sgranchire le gambe, già perché questa si fa tutta in piedi sulle pedane, usando il “sederino” come bilanciere e le gambe come ammortizzatori.

Naturalmente mi guardo bene dall’evitare le pozzanghere, è fantastico separare l’acqua arrivandoci a palla (beh non esageriamo!) con l’anteriore. Mentre le attraverso sono affiancato da due archi di acqua sporca che da terra vanno su, più in alto della testa elmettata, e ricadono disegnando due perfette traiettorie simili agli zampilli di una fontana.

E poi, scusate, che faccio? Torno all’urbe con l’armatura pulita? Nessuno crederebbe che ho conquistato un Castello.

Già la vedo la faccia di mia moglie. Un misto tra sconforto e rassegnazione.

Già leggo il suo commiserevole pensiero: “Anche oggi, pure stavolta, proprio non ci riesci…”

Lo sterrato, ahimè, non dura molto ma la cima ricompensa più che adeguatamente.

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Dopo aver arrestato la cavalcatura al limite dell’invalicabile….

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….mi lascio assordare dal silenzio che avvolge questo piccolo pezzo di paradiso e lascio che il mio pensiero richiami alla mente alcune parole che tempo fa lessi in un blog e che, pur non avendo partorito io, oggi le faccio mie e le voglio riportare integralmente così come sono state scritte dall’autore o autrice, ora non ricordo.

“Il castello risiede spesso in alto, in posizione dominante, di chi tutto vede e sorveglia e, allo stesso tempo, può essere visibile da ciascuno, il castello non si nasconde, ma, pur visibile, immediatamente appare alla vista inaccessibile per le sue dimensioni e la sua prospettiva di dominio; spesso luogo fortificato e quindi da conquistare…..”

e ancora

“Un mezzo che può isolare o, allo stesso tempo, rendere il castello accessibile è il ponte levatoio: la riva da cui parte (il ponte) è, di fatto, questo mondo, cioè lo stato in cui l’essere che lo deve percorrere si trova in quel momento, mentre la riva a cui giunge è il mondo principale….”

Chiedo scusa all’autore-autrice se non cito il suo nome, purtroppo non lo ricordo, ma grazie, grazie per essere capitato tra le mie letture e, a mia volta, ti  faccio una domanda: “Ma sei stato anche tu quassù?” (scusa per il tu confidenziale).

E’ proprio ciò che questo luogo e questa costruzione esprimono e la solitudine (fortunosa) nella quale mi trovo amplifica, alla massima potenza, questo stato quasi di ZEN.

Bene, il Castello è conquistato, la Fanciulla è stata già salvata da qualche altro cavaliere (o si è salvata da sola), per me inesorabile è arrivato il momento di invertire la rotta e di rientrare alla base.

Naturalmente, in discesa, lo sterrato è appena più impegnativo ma le pozze d’acqua sono sempre là ed io non posso fare a meno di salutarle a modo mio: splash!

Oggi io e la mia amica moto siamo partiti da Altamura, sulla Murgia Barese, ed abbiamo raggiunto il Castello di Monteserico (http://lnx.altobradano.it/castello-di-monteserico-genzano-di-lucania/), in Basilicata, a 10 chilometri circa da Genzano di Lucania in provincia di Potenza. Il Maniero non è molto grande ma sapientemente restaurato ed in una posizione fantastica.

Il borgo fantasma attraversato è il villaggio di Taccone.

http://www.paesifantasma.it/Paesi/taccone.html

La strada percorsa non è per gli amanti dei tornanti e dei curvoni ma i luoghi percorsi ti fanno pensare ad altro e non ti fanno rimpiangere la sana ginnastica motociclistica.

Come sempre, la strada migliore è quella che ognuno di noi ama fare e che la nostra immaginazione ci fa percorrere, tuttavia ecco il link dell’itinerario percorso da me e la mia GS.

https://www.google.it/maps/dir/Altamura,+BA/Castello+di+Monteserico,+Via+Monteserico,+Genzano+di+Lucania,+PZ/@40.8194605,16.2120658,11z/data=!3m1!4b1!4m13!4m12!1m5!1m1!1s0x13478771c52dacf7:0xe3d01f224e66b74b!2m2!1d16.5527874!2d40.8253924!1m5!1m1!1s0x13385dfdf9f9937f:0xa553b686843f5c92!2m2!1d16.151517!2d40.8546361?hl=it

Buona moto a tutti.

Angelo

Il Castello e la Fanciullaultima modifica: 2019-08-31T22:16:07+02:00da diabolikgs63
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